SISTINA 57
IL PROGETTO
▸ Fisco

È tempo di fare davvero la riforma del fisco

Abbiamo a che fare con un impianto vecchio di cinquant’anni. Il fisco non si riforma se i partiti restano prigionieri dei condizionamenti categoriali.

 

L’emergenza pandemia, ancora lontana da una sua definizione, e le conseguenze di carattere politico, economico e sociale portate dal conflitto in Ucraina, in apparenza sembrano aver spostato temporaneamente l’attenzione nel nostro Paese sul tema di interventi radicali in tema di fisco, ma le quotidiane lamentele che vengono rivolte al sistema impongono delle riflessioni sulla necessità di modernizzare un impianto tributario che è in piedi da cinquanta anni, da quando cioè, nel 1972, veniva varata in Italia la riforma tributaria.

Infatti, dopo anni di studi e proposte per rinnovare il vecchio sistema tributario, il 9 ottobre 1971 fu emanata la legge 825 che introduceva le norme necessarie per la partecipazione “di ognuno in ragione della propria capacità contributiva e della progressività” al mantenimento dello Stato. Nell’ottobre del 1972 furono pubblicati i primi diciannove decreti attuativi della riforma, entrati in vigore il 1° gennaio successivo: nascevano l’imposta sul valore aggiunto e l’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, furono modificate le imposte di registro, le successioni, ipotecarie e catastali, il bollo, il contenzioso tributario, l’imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni, l’imposta sugli spettacoli e le tasse sulle concessioni governative.

Le disposizioni sulle imposte dirette, invece, entrarono in vigore all’inizio del 1974 e le vecchie imposte “reali” (ricchezza mobile, fabbricati, terreni, redditi agrari) e “personali” (complementare sul reddito, imposta di famiglia), furono sostituite con le nuove sul reddito delle persone fisiche, delle persone giuridiche e locale sui redditi: nascevano così l’IRPEF, l’IRPEG e l’ILOR. L’organica raccolta di queste disposizioni fu fatta nel 1973 con appositi decreti del Presidente della Repubblica, raccogliendo le norme in materia di accertamento e le norme sulle agevolazioni tributarie, e rivedendo le norme sulla riscossione, sui servizi relativi e sugli estimi e classamento catastali e di terreni e fabbricati.

Sono trascorsi cinquanta anni nel corso dei quali il nostro Paese è radicalmente cambiato: siamo aumentati di dieci milioni di abitanti, si è trasformata la realtà economica, è cambiata la composizione sociale ed economica, con più pensionati che lavoratori attivi, e tra i lavoratori attivi sono più gli autonomi che i lavoratori dipendenti, l’emigrazione italiana oggi è raccontata da giovani che vanno all’estero con il computer, portandosi dietro saperi e conoscenze maturate in Italia, con la speranza che vengano utilizzate e valorizzate altrove.
Nel quadro sinteticamente rappresentato di cambiamenti che hanno interessato la società italiana l’impianto fiscale è rimasto sostanzialmente lo stesso della sua nascita, con alla base la distinzione tra redditi delle persone fisiche e redditi delle persone giuridiche.
Anche se nel corso degli anni si sono succedute proposte di riforma, concretamente sono stati fatti alcuni interventi di semplificazione: l’introduzione del modello 730 negli anni Novanta ha rappresentato una novità importante, così come importanti sono state la nascita dei CAF, gli interventi per la misurazione del reddito da lavoro autonomo, come è stato nel caso della minimum tax, affinata progressivamente fino a costituire la base degli studi di settore e l’approvazione in Parlamento dello Statuto del Contribuente. Ma una vera e propria riforma fiscale non è stata più realizzata, nonostante le varie “deleghe fiscali” di cui si parla in ogni legislatura, compresa l’ultima, che al momento ha partorito soltanto una riduzione delle aliquote IRPEF da 5 a 4.
Ma un intervento riformatore è necessario per affrontare un problema che si è incancrenito nella nostra società e nella nostra economia: l’evasione fiscale. Fanno impressione le cifre che ogni anno vengono diffuse da istituzioni e istituti di ricerca specializzati: 100, 120, 150 miliardi di euro evasi, numeri da capogiro, ai quali vanno aggiunti i circa 1.100 miliardi accertati dal 2000 a oggi, non ancora riscossi e difficilmente riscuotibili in futuro, nonostante i vari provvedimenti di rottamazione e di saldo e stralcio intervenuti nel corso degli ultimi anni, e che raccontano di un “magazzino” di 130/140 milioni di cartelle da riscuotere.
Gli ultimi dati resi disponibili dal Ministero dell’Economia e Finanze e relativi agli oltre 41 milioni di dichiarazioni dei redditi presentate nel 2021 per l’anno d’imposta 2020 ci dicono che il 27% dei contribuenti ha dichiarato fino a 15.000 euro; tra i 15.000 e i 70.000 euro dichiarati si posiziona il 70% dei contribuenti, mentre solo il 4% dei contribuenti ha dichiarato più di 70.000 euro. Sono veritiere queste dichiarazioni?
Il problema dell’evasione è un problema economico, sociale e politico al quale purtroppo non si riesce a dare soluzione e che impatta fortemente sull’intero sistema produttivo e sociale del nostro Paese. Produttivo, perché l’evasione crea concorrenza sleale nella realtà economica; sociale, perché chi evade non solo non paga le tasse, ma beneficia di aiuti e agevolazioni che dovrebbero andare a chi realmente ne avrebbe diritto. E soprattutto genera sfiducia verso le istituzioni.
In attesa di capire se e quando anche le politiche fiscali potranno avere una loro organica sistemazione a livello di Unione europea, lo Stato deve farsi carico di ridurre le situazioni di squilibrio che il nostro Paese vive, e può farlo utilizzando, tra gli altri, anche lo strumento della leva fiscale, “e nell’attuale congiuntura il recupero della nozione di democrazia in termini di giustizia e di parità sociale non può che passare attraverso il rafforzamento di una governance pubblica gestita da uno Stato multilivello, erogatore di servizi sociali e di prestazioni sanitarie, più promotore dello sviluppo sostenibile e, insieme, più finanziatore della ricerca, dell’innovazione e della formazione permanente” (F. Gallo, “Il ruolo di un fisco riformato”), uno Stato quindi “riequilibratore” capace di ampliare realmente la base imponibile con interventi strutturali anche su terreni poco battuti, come quello della salvaguardia ambientale.
Serve un ripensamento strategico in grado di superare vecchi schemi di tassazione, accertamento, riscossione e contenzioso, ma per fare ciò serve anche un diverso posizionamento della politica rispetto all’utilizzo della leva fiscale, divenuta da tempo un fertile terreno di scontro, dove la difesa sperticata di interessi categoriali da parte della stessa politica ha condizionato e condiziona interventi innovativi. E in questo senso la preoccupazione che quella fornita dal PNRR possa essere una occasione persa forse è più che legittima.



Fondazione Bruno Buozzi C.F. 97290040589 / Copyright © 2022/ Tutti i diritti sono riservati / Informativa sui Cookie&Privacy / powered by blendmedialab



Registrata dal Tribunale di Roma n. 76/2022 del 10/05/2022