SISTINA 57
IL PROGETTO
Società

Un numero, una riflessione

Tanta è la differenza fra gli Stati membri dell’ONU e il numero delle federazioni calcistiche iscritte alla FIFA. Non sembrerebbe una grande notizia se la differenza fosse a favore dell’ONU che nell’immaginario collettivo raffigura la più grande organizzazione mondiale rappresentando quasi tutti i paesi della terra. Ed invece le federazioni sportive iscritte alla FIFA sono di più: 211 rispetto ai 193 stati riconosciuti dall’ONU.


Per i pochi che non lo sapessero, la FIFA è la Fédération Internationale de Football Association, federazione fondata nel 1904 che si occupa dell’organizzazione di tutte le manifestazioni intercontinentali degli sport del calcio, tra le quali la più importante è sicuramente il Campionato mondiale di calcio.
Parliamo di sport e nello specifico di calcio che, quindi, ha un effetto “collante” sui vari stati maggiore di quello politico o della sicurezza internazionale. La riflessione si pone: può, più un pallone della la volontà di preservare la pace o un dribbling più della difesa dei diritti umani?


Beh, non è proprio così. Innanzitutto la FIFA, nata nel 1904 e quindi più “vecchia” dell’ONU comprende federazioni quali ad esempio Irlanda del Nord, Galles e Scozia che pur avendo associazioni calcistiche separate, a livello politico fanno parte tutte del Regno Unito, che è uno stato membro dell’ONU.
Inoltre la FIFA coinvolge un numero di soggetti inferiore del numero degli abitanti degli stati riconosciuti dall’ONU. Si stima che almeno mezzo miliardo di persone, nel mondo, abbiano una qualche relazione con il calcio, dai tifosi ai manager delle squadre passando, ovviamente, per chi il calcio lo gioca davvero.


L’ONU invece, rappresenta quasi gli 8 miliardi di esseri umani presenti sul nostro pianeta. Sono, infatti, pochi i paesi che pur godendo di una certa autonomia non fanno parte dell’ONU. Fra questi alcuni maggiormente noti (spesso per disordini e piccoli conflitti) quali il Nagorno-Karabakh e la Repubblica Turca di Cipro del Nord e altri meno conosciuti come l’Abcasia o il Somaliland.


Forse il mondo del calcio potrebbe “dare una mano” a quello della cooperazione internazionale per la soluzione di molti problemi sociali che affliggono ancora alcuni stati in modo più efficace. Ne sono stati un esempio i recenti campionati mondiali di calcio svolti in Qatar.


Una occasione persa per migliorare le condizioni dei lavoratori in quel paese dopo le denunce di sfruttamento da parte delle decine di migliaia di immigrati che hanno contribuito alla costruzione delle infrastrutture e quindi della riuscita della manifestazione. E, inoltre, la questione dei diritti, negati non solo ai lavoratori, ma anche alle minoranze nel Paese, alle donne, alla comunità LGBTQ+, senza tralasciare l’impatto ambientale relativo alla costruzione degli stadi e al loro funzionamento. Una situazione che nessuna organizzazione internazionale è riuscita ad intaccare e proprio per questo la coppa del mondo avrebbe potuto essere una buona occasione. Ma sappiamo come è finita.


La Fifa, in un carteggio con Amnesty International della scorsa primavera ha sostenuto di aver voluto “usare la competizione come strumento per avviare un più ampio cambiamento sociale” in Qatar. E quando si è resa conto di aver fallito ha dichiarato “chi siamo noi per criticare gli altri”.


E non c’è VAR che possa modificare la situazione.



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